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San Giovanni della Croce - Salita del Monte Carmelo, libro I, cap. 13 – commento di Elitheo Carrani (E.C)

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Messaggio  Elitheo Carrani Sab Dic 15, 2012 6:46 pm

San Giovanni della Croce - Salita del Monte Carmelo, libro I, cap. 13 – commento di Elitheo Carrani (E.C) Giovan10


Il seguente brano è tratto da "Salita del Monte Carmelo" di San Giovanni della Croce. Questo mistico medioevale è particolarmente interessante per l'approccio fortemente destrutturato rispetto agli elementi "classici" di base della religiosità cristiana, ma al tempo stesso soprendentemente vicino allo spirito del Vangelo e al modo di affrontare il processo ascetico del mondo orientale. Le similitudini ho cercato di evidenziarle nelle note che sono poste tra parentesi lungo il testo e che sono aperte da "nota di E.C.". Spero che la lettura sia di vostro interesse.
(Elitheo)
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Fonte: http://www.unavox.it/m17.htm

[…..]

MEDITAZIONI


3 - In primo luogo l'anima abbia un costante desiderio di imitare Cristo in ogni sua azione, conformandosi ai suoi esempii, sui quali méditi per saperli imitare e per comportarsi in ogni sua azione come Egli si diporterebbe.

(Nota di E.C. . Giovanni della Croce già da qui indica che l’essere cristiano, non ha che fare con la devozione e l’innalzamento della figura di Gesù, ma ha a che fare con il seguire il suo insegnamento)

4 - In secondo luogo, per riuscire in questo è necessario che ella rinunzi a qualunque piacere sensibile che non sia puramente a onore e gloria di Dio e che rimanga vuota di ciò per amore di Gesú Cristo il quale, in questa vita, non ebbe e non volle altro piacere che quello di fare la volontà del Padre, la quale era per Lui suo cibo e nutrimento. Se, per esempio, le si offre il piacere di ascoltare cose che non hanno importanza per il servizio e la gloria di Dio, ella rinunzi al gusto di ascoltarle; se le si porge il diletto di vedere cose che non servono ad avvicinarla al Signore, reprima il desiderio di guardarle. Faccia lo stesso quando le si presenta l'occasione di conversare, di compiere qualche altra azione o di soddisfare qualche altro senso, purché lo possa fare facilmente; se ciò non le sarà possibile, basta che ella non assapori il gusto delle cose che non può evitare.

((Nota di E.C.: si notino già qui i primi accenni ed echi della speculazione buddhista. Si richiama già la retta azione e il retto pensiero dell’ottuplice pensiero, ma di più ed ancora più evidente è il richiamo al distacco dagli attaccamenti, che vedremo, successivamente diverranno palesi. Si noti quel “rinunzi a qualunque piacere sensibile” ed in chiusura dice che se non si può evitare di soddisfare qualche senso occorre che l’anima “non assapori il gusto delle cose che non può evitare.” E’ qui evidente il concetto del guardarsi dall’attaccamento dei sensi, tipico arogmento della speculazione buddhista ed induista.)


5 - Per mortificare e calmare le quattro passioni naturali: gioia, tristezza, timore e speranza, dalla cui concordia e pace procedono questi e tanti altri beni, come rimedio efficace, fonte di grandi meriti e causa di grandi virtú serve quanto segue:


6 - L'anima cerchi sempre di inclinarsi:
non al piú facile, ma al piú difficile;
non al piú saporoso, ma al piú insipido;
non a quello che piace di piú, ma a quello che piace di meno;
non al riposo, ma alla fatica;
non al conforto, ma a quello che non è conforto;
non al piú, ma al meno;
non al piú alto e pregiato, ma al piú vile e disprezzato;
non alla ricerca di qualche cosa, ma a non desiderare niente;
non alla ricerca del lato migliore delle cose create, ma del peggiore e a desiderare nudità, privazioni e povertà di quanto v'è al mondo per amore di Gesú Cristo.

(NOTA di E.C.: qui comincia a dispiegarsi la visione dell’ascesa di Giovanni….ad una prima letta appare messaggio di rara durezza, ma in realtà l’insegnamento mira al superamento del dualismo e della preferenza. Così, se preferiamo il più comodo, il più saporito, il preferito, il più pregiato, inevitabilmente cercheremo di evitare i suoi opposti, per converso se invece ci abituiamo a ciò che normalmente consideriamo “negativo” questo stesso negativo diventa positivo….Nel momento in cui ciò che è da noi eluso, evitato, viene accettato, a maggior ragione accetteremo anche il normale “positivo”…come il vestito migliore, il cibo migliore, la casa migliore, le migliori frequentazioni e così via. Attraverso questo passaggio nel “negativo” si porta a positività ciò che normalmente non lo è e questo porta alla cancellazione del dualismo, e alla piena felicità, perché il “male” è stato accettato e quindi cancellato. Si arriva cioè alla fine della preferenza che è obiettivo ribadito nel Buddhismo, nello Zen, nell’Induismo. )


8 - La pratica scrupolosa di questi avvisi da parte di un'anima, basta perché essa possa entrare nella notte del senso; tuttavia, per spiegarmi ancora meglio, aggiungerò altre norme che insegnano a mortificare la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita, tre inclinazioni che, secondo San Giovanni, spadroneggiano nel mondo e sono causa di tutti gli altri appetiti (I Gv., 2, 16).


11
Per giungere a gustare il tutto, non cercare il gusto in niente.
Per giungere al possesso del tutto, non voler possedere niente.
Per giungere ad essere tutto, non voler essere niente.
Per giungere alla conoscenza del tutto, non cercare di sapere qualche cosa in niente.
Per venire a ciò che ora non godi, devi passare per dove non godi.
Per giungere a ciò che non sai, devi passare per dove non sai.
Per giungere al possesso di ciò che non hai, devi passare per dove ora niente hai.
Per giungere a ciò che non sei, devi passare per dove ora non sei.

12

Quando ti fermi su qualche cosa,
tralasci di slanciarti verso il tutto.
E quando tu giunga ad avere il tutto,
devi possederlo senza voler niente,
poiché se tu vuoi possedere qualche cosa del tutto,
non hai il tuo solo tesoro in Dio.

(NOTA di E.C.: tutta questa parte mira ad indicare un solo problema ed infine una sola soluzione: il male è la preferenza, che è altra faccia del desiderio. Per fare ciò è necessario passare per la non preferenza per poter godere appieno di ogni cosa. Se infatti cerchiamo ciò che agogniamo e lo otteniamo, saremo sì soddisfatti, ma l’avversione che avremo verso l’idea di non avere ciò che volevamo o di poterlo perdere, sarà fronte di sofferenza. Ogni cosa agognata che non viene ottenuta, produce dolore, ogni cosa temuta che si verifica produce dolore, ed agognare e temere sono ancora e sempre desideri, come enuncia il Buddha nelle quattro nobili verità. Ancora una volta Giovanni cerca di mettere in guardia dalla divisione della mente e dell’anima nelle grandi categorie dei sì e no.)


13 - In questa nudità lo spirito trova il suo riposo poiché non desiderando niente, niente lo appesantisce nella sua ascesa verso l'alto e niente lo spinge verso il basso, perché si trova nel centro della sua umiltà. Quando invece desidera qualche cosa, proprio in essa si affatica.

(NOTA di E.C: ecco qui espressa a chiare lettere la visione dell’ascesi di Giovanni della Croce. Il desiderio va estinto per giungere alla pienezza dello spirito. Questo mistico Cristiano è stato un lucido analista dei moti dell’anima ed ha ben compreso quale fosse l’essenza del messaggio evangelico, messaggio peraltro già autoevidente ed autoesplicantesi fin dalla lettura dei canonici (si basti pensare al discorso sulle beatitudini che Giovanni della Croce echeggia chiaramente).
Il voler distogliere dal cuore del messaggio evangelico tanta parte dei fedeli, dirottandoli verso una generica devozione dei simboli e dei protagonisti storici del Cristianesimo (Gesù, Madonna, Apostoli e santi) e peggio ancora, spingendoli verso la devozione dei suoi moderni scribi e farisei, riducendo i segno di “cristiano” a mera partecipazione alla ritualistica, è stato un grave dirottamento della potenza del messaggio di salvezza operato da Gesù Cristo e dai primi discepoli. Il messaggio evangelico è semplice e spiritualista insieme ed in perfetta assonanza con i più illuminanti insegnamenti delle filosofie e religioni orientali.)


[SAN GIOVANNI DELLA CROCE, Opere, Salita del Monte Carmelo, libro I, cap. 13, Postulazione Generale dei Carmelitani scalzi, Roma, 1991.]

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